L'ABC del sovrainnesto
Sovrainnnesto: letteralmente si tratta di ripetere l’innesto su una pianta già innestata.
Il primo innesto, facilmente, è stato di origine naturale: due branche, per contatto e sfregamento, hanno messo a nudo i tessuti cambiali e si sono saldate formando un'unica individuo.
Fenici, Greci e Romani utilizzavano già queste pratiche agronomiche. Le testimonianze ci giungono dagli scritti di vari autori latini come Catone, Varrone e Columella. Plinio il vecchio, I sec d.C., conferma nella Naturalis Historia e parla di un albero innestato più volte. Passando attraverso De’ Crescenzi, 1303 d.C., diplomato in logica, medicine e scienze naturali, in cui si parla di innesto, si giunge fino alla metà dell’800: è con l’arrivo dall’America, nel 1860, della filossera che la pratica dell’innesto ha dovuto diffondersi e ha iniziato a essere utilizzata come unico metodo possibile per poter combinare la vite americana, donatrice dell’apparato radicale, con la vite europea (varietà coltivate), sensibile al parassita, ottenendo in questo modo una pianta bimembre, detta barbatella.
Si può ben dire che l’innesto ha salvato le nostre viti ma anche la viticoltura europea di qualità. Pur con qualche timore iniziale, alimentato dall’influenza che ha il portainnesto sulla vite coltivata, l’innesto detto “a tavolino” arriva fino ai giorni attuali.
Sono pochissime le vigne piantate franco di piede (non innestate) e sono relegate a quei terreni ricchissimi in sabbia dove l’insetto, Fillossera Vastatrix, non riesce a svilupparsi.
Da questo tipo d’innesto, necessario per evitare la filossera, si è passati all’innesto per cambiare clone, varietà o per ristrutturare una vecchia vigna.
La tecnica d’innesto in campo, inizialmente a spacco inglese e maiorchina, utilizzata in ambienti caldi per innestare le giovani piante americane, messe precedentemente a dimora, con varietà nostrane è stata successivamente studiata e raffinata, adattandola alle piante adulte già in produzione con l’intento di sostituire la varietà.
Fino a una ventina di anni fa, la sostituzione della varietà era possibile ma forniva risultati poco costanti e a volte non duraturi.
L’innesto a spacco, tecnica di più facile approccio, fornisce zone di saldatura esclusivamente nella parte esterna della sezione trasversale del tronco, lasciando i tessuti interni esposti all’attacco di patogeni, i quali possono limitarne la durata. Questa tecnica, meno costosa, fornisce dei risultati aleatori in funzione delle condizioni ambientali primaverili.
Lo studio e la successiva introduzione di una tecnica diversa e più performante, detta a gemma dormiente “C bud” o “T bud”, ha consentito l’innesto di piante adulte con ottimi risultati: da vent’anni a questa parte, questa tecnica viene adottata in diverse zone viticole e anche in Italia e in altri Stati sono ormai migliaia gli ettari riconvertiti ricorrendo al sovrainnesto.
La tecnica di sovrainnesto a gemma dormiente è praticata da specialisti che potrebbero essere definiti chirurghi della vite, che sanno maneggiare i coltelli e collocare le gemme con precisione millimetrica in modo che i tessuti cambiali (rigeneratori) combacino e producano una perfetta saldatura. L’operazione viene eseguita a cavallo tra primavera ed estate nella parte basale del ceppo e durante la stagione estiva seguente l’innesto la gemma è in grado di produrre un tralcio sufficientemente sviluppato che sarà utilizzato come capo a frutto l’anno successivo.
Le vigne, come ben si sa, durano parecchi anni e succede che varietà ritenute valide al momento dell’impianto possano trovarsi spiazzate già dopo pochi anni. Il mercato del vino in parte segue canali consolidati nel tempo, in parte invece è molto volubile e richiede adattamenti assai veloci.
Nell’ultimo ventennio c’è stata una riduzione delle superfici vitate totali, anche se non uniforme, ma soprattutto va segnalato uno spostamento nell’ambito delle varietà.
Le varietà meno interessanti dal punto di vista commerciale sono state sostituite con cultivar commercialmente più performanti.
La vigna ha una durata che va dai 30 ai 40 anni e segnala costi di impianto assai elevati, attorno ai 35.000€/ha, pertanto, in caso di ristrutturazione varietale di vigne ancora produttive, ricorrere allo spianto e al successivo reimpianto diventa un intervento antieconomico.
Considerando che, nella vite, la riduzione della funzionalità interessa soprattutto la parte aerea e non l’apparato radicale, diventa interessante dal punto di vista agronomico il mantenimento dell’apparato radicale e la sostituzione della sola parte aerea.
Poichè il sovrainnesto, a livello europeo e nazionale, beneficia altresì di contributi alla ristrutturazione al pari di un nuovo vigneto, è utile confrontare i costi delle due soluzioni possibili: lo spianto e il sovrainnesto.
In diverse zone viticole nazionali, i viticoltori hanno fatto a più riprese ricorso a tale tecnica per sostituire varietà non commercialmente appetibili, in virtù del fatto che i costi dell’innesto, comprensivi delle spese per la conduzione dell’innesto, sono 3-4 volte più bassi dei costi sostenuti per il rifacimento di un’intera vigna. Nei conteggi dei costi va aggiunto anche che con il sovrainnesto si perde un anno di produzione mentre col rifacimento di una vigna si perdono invece due anni di produzione, rendendo ancora più vantaggiosa la prima pratica.
I risultati, dice l’agronomo Romana operante in tutta Italia, sono eccellenti; quando gli innestatori sono di collaudata esperienza e i lavori di conduzione post-innesto sono portati avanti con scrupolosità, la riuscita va oltre il 95% e l’anno dopo si vendemmia.
La competenza degli operatori per garantire un buon risultato deve essere a tutto campo. Le diverse fasi che vanno dalla scelta delle marze alla conservazione, alle prove di germogliamento, alla perfetta esecuzione dell’innesto e i successivi interventi, se condotte in modo impeccabile, adattandole alle diverse situazioni, possono garantire non solo la riuscita dell’innesto ma anche, cosa non facile, la produzione nell’anno successivo.
Se tutte le fasi sono portate avanti con capacità, si arriverà in autunno con un tralcio di normale dimensione e soprattutto perfettamente maturo, capace di fornire produzione l’anno successivo. È a questo livello che la professionalità degli innestatori fa la differenza.
È lecito chiedersi: le piante non riuscite, che fine fanno? Può capitare che alcune piante non attecchiscano, ma nulla di grave: siccome la pianta non viene capitozzata, può essere ripresa l’anno successivo.
La tecnica utilizzata, se comparata con i vecchi metodi a spacco, a fronte di costi anche superiori, garantisce, oltre a percentuali di attecchimento elevate, risultati duraturi nel tempo a motivo della perfetta adesione delle zone cambiali. Con tale tecnica, grazie alla saldatura completa e all’assenza di ferite, non hanno modo di svilupparsi i patogeni definiti mal dell’esca ed è da notare che le piante così innestate possono sopportare senza problemi la vendemmia meccanica già nel primo anno di produzione, cosa che invece non è possibile con altri tipi di innesto.
A tal punto, si può ben dire che il sovrainnesto della vite diventa un metodo rapido e poco oneroso per il rimpiazzo della varietà.